La cucina è il cuore della casa

Quando un bambino comincia a controllare le proprie mani e a collegarle con i propri occhi nasce quel miracolo che è la produzione di un disegno. Fino ai tre anni la sua mano paffuta e impacciata stringe la matita come un pugnale e ogni scarabocchio che ne esce può essere qualunque cosa: la mamma, un cavallo, il suo orsacchiotto.  La gioia che egli prova nello scoprire che è in grado di produrre qualcosa a cui dare un senso, e un senso a cui i grandi sembrano credere, gli dà la voglia di provare e riprovare, finché finalmente da quell’arnese esce un omino, poi un sole e poi una casa.

Le prime case che disegnano i bambini hanno tutte delle caratteristiche simili, anche se vivono in ambienti molto diversi tra loro. Solo dopo si differenziano, grazie allo sviluppo della capacità di cogliere dettagli. Che si tratti di un igloo o di una yurta, di un maso o di un condominio, all’inizio i bambini rappresentano la casa come un essere vivente, simile ai loro omini: un corpo centrale con un’apertura più grande “bocca/porta” e dei buchi più piccoli “finestre/ occhi”.

Ma se la casa è sentita come un prolungamento di sé, come un essere vivente con un corpo dal quale lasciarsi avvolgere e proteggere, deve avere anche un cuore, un cuore caldo, che produce rumori, che manda la vita in tutto il resto del corpo: come non pensare a quel posto così attraente, pieno di sportelli da cui estrarre pentole e coperchi, dove agguantare mestoli e cucchiai di legno mirabilmente sonori o poter infilare le mani in una polvere bianca e impalpabile, che senza fatica si appiccica al corpo?

Nella sua cucina Leonardo da Vinci costruì, inventandoli, attrezzi fino ad allora sconosciuti, come il coperchio per le pentole e lo sbuccia e affetta patate in serie. Peccato che già allora fosse più redditizio produrre armi così, suo malgrado, per vendere le sue invenzioni dovette trasformarle in affettauomini.

Da che mondo è mondo scienziati ed artisti hanno il dilemma di produrre qualcosa che venga comprato per potersi poi dedicare a ciò che loro interessa e piace veramente. Così, come Leonardo, grandissimi pittori per vivere dovevano produrre ritratti di imperatori e principesse impalati e agghindati come spaventapasseri o bimbi, futuri eredi di regni e servi, inamidati e incredibilmente puliti, più simili a vecchietti che a bambini veri. Ma dopo aver aderito all’obbligo di pagnotta potevano finalmente creare. E dove trovare ispirazione? In cucina!

Ecco allora dal Rinascimento in poi uscire dai pennelli dei più geniali pittori gli interni di cucina, dove ogni organo di senso viene sollecitato e stuzzicato. È possibile percepire la morbida peluria delle pesche o il freddo viscido del pesce pronto ad esser impadellato. Oppure l’odore dolciastro del sangue di selvaggina messa a frollare, prima di finire in fricassea tra mille verdure. Si può addirittura sentire il brontolio di budella e provare la fame dei poveri contadini intorno al loro catino di patate bollite.

La cucina, come una magica officina piena di attrezzi, ha attirato gli artisti nel cimentarsi con la sfida più importante: la luce. Ecco allora lo stupore per la trasparenza e finezza del vetro, per la lucentezza di paioli e coltelli e per i bagliori del fuoco contro le pareti fuligginose degli enormi camini.

Il fuoco. Non esiste cucina senza il fuoco. Guardato a vista in un focolare aperto o custodito dentro una stufa, nulla è più affascinante ed ipnotico di un fuoco vivo. Il calore sprigionato dalla legna non ha eguali e la cucina diventa il luogo dove fare il bagno in una tinozza davanti alla stufa economica con la sua provvidenziale scorta di acqua calda e di ferri appesi alla canna fumaria, dove mettere a scaldare maglia e mutande prima di infilarle.

La modernità e il design, con tutta la comoda efficienza che possono offrire, non hanno potuto cancellare il piacere di poter cucinare sul fuoco e di conversare seduti intorno ad una “stube” magari appiccicata ad una stufa ad ole.

La cucina è il luogo che contiene tutto ciò che è indispensabile per prendersi cura. Ai rampolli di case nobiliari e alto borghesi, ancora inesperti nelle regole del galateo e nell’uso delle molte posate, era ed è’, con loro gioia, vietata la sala da pranzo, potendo così godere delle coccole di cuoca e servitù. Il menù prevede cibo, carezze, consigli, affetto
La cucina è’ il luogo dove attendere in solitudine, con la sola compagnia di una tisana, che finalmente il mattino allontani i pensieri incompatibili con il sonno.

La cucina è il luogo del convivio. Dove, dopo aver scambiato commenti e ricette con gli amici, resoconti di viaggi, si finisce con l’ultimo bicchiere di vino o di grappa speciali a parlare di politica. E così l’ultimo bicchiere diventa sempre il penultimo.

Qualunque sia la latitudine e la cultura di un popolo non esiste studio antropologico o museo etnografico che non documenti la sua vita anche attraverso quel luogo di incontro, di sperimentazione alchemica e di costruzione dell’ospitalità che è la cucina.

Il mondo occidentale, dopo aver provato a sopprimerla comprimendola in tristi e angusti cucinini più simili a sgabuzzini usati per castigare i ” bambini cattivi”, che a luoghi idonei alla vita, ha dovuto piegarsi alla forza che il cuore-cucina emana e richiede. Esagerando le ha ora trasformate in astronavi iperrazionali o in asettiche sale operatorie, dove il piano di cottura assomiglia ad una plancia di comando e ci vuole un brevetto per evitare spiacevoli scompigli di funzioni.

Così, benché il mondo si divida tra chi soffre per il troppo mangiare e chi per il troppo poco, tra chi può vantarsi della cucina come la stanza più costosa di casa e chi ancora deve racchiuderla in un fagotto da riaprire al prossimo bivacco di fortuna, quello resta il luogo intorno a cui fermarsi, dividere, condividere, disporsi con i visi uno di fronte all’altro e, se si vuole, regalarsi pensieri e parole.

 

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